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Michele Di Salvo
22 Apr

Schumpeter e il pd

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  pd, partito democratico, Renzi, Bersani, Schumpeter, distruzione creativa, crisi, trasformazione

Schumpeter e il pd

Ho letto e sentito molte cose in questi giorni a commento e come analisi di questa fase definita “lo sfascio” del partito democratico, e concordo che in parte lo è.
In economia Schumpeter parlava di “distruzione creatrice”, ovvero quella condizione per cui è solo “distruggendo” ciò che c’era prima che si può costruire il nuovo, ma anche la chiave per comprendere che non ogni distruzione è in sé un male; questa teoria se la applichiamo alle scienze sociali e politiche ci riconduce alla etimologia nuda e cruda della parola “crisi”, ovvero trasformazione.
Tuttavia per comprendere come e in che direzione avverrà questa trasformazione, in economica, gli analisti non si limitano ad osservare i fenomeni, ma cercano di comprendere il come ed il perché della “distruzione” precedente, e solo così individuare cosa ed in che direzione verrà creato.
Ed allora proviamo ad applicare questa regola (che sarebbe anche di buon senso) al PD.
A differenza però dei vari commentatori, che vedono il qui ed ora di ciò che avviene nelle dinamiche del pd, ed osservando e commentando in qualche modo “modificano il fenomeno”, io vorrei andare alle basi, e quindi ai “vizi intrinsechi” ed originari.

Quello che stiamo osservando potrebbe apparire un fenomeno ex-post, in qualche maniera dipendente e scaturito come conseguenza del post elezioni, del dato elettorale, dei numeri nelle varie elezioni.
Non è così – almeno secondo me – semmai è l’esatto contrario: quello che sta succedendo, il risultato delle votazioni in aula, alla ricerca di un nome e un certo tipo di proposta di governo, e i numeri parlamentari, e quindi il risultato elettorale, sono il frutto, e sono il sintomo che è diventato malattia, di un virus intrinseco al malato.

Il Partito Democratico è l’erede dei due grandi partiti di massa della storia contemporanea di questo paese, la componente popolare della democrazia cristiana, e il partito comunista. Entrambi questi partiti avevano numerose sedi, in cui si discuteva, ci si confrontava, spesso ci si scontrava, e da quelle sedi uscivano in qualche modo i candidati, ed in quelle sedi si “imparava” a fare politica, a confrontarsi, a dialogare.
Tutto questo da vent’anni praticamente non avviene più, né per quanto concerne la discussione, né per la formazione, né – e men che meno – per la selezione della rappresentanza politica.

Il Partito Democratico è il partito delle primarie, dei centomila volontari, dell’attivismo porta a porta, e nondimeno esistono così tante blindature verticali che è praticamente impossibile che un territorio esprima anche solo i candidati, che sono invece nominati da una segreteria nazionale ed espressione proporzionale delle componenti, e queste a loro volta sono espressione di questo o quel leader…
Ciò fa si che chiunque siede oggi in parlamento, è espressione di un pezzo di direzione, risponde a qualcuno, e dipende da qualcuno anche solo per essere ricandidato, e per la posizione in lista in cui verrà messo.
E questo comporta tra le caratteristiche intrinseche, una certa dose di arrivismo personale, di competizione interna e di narcisismo politico.
Certo, qualcuno dirà che è la legge elettorale, e che è così in tutti i partiti.
Ed io rispondo semplicemente che nessuno degli altri partiti si chiama “democratico” e che nessuno degli altri partiti è “il partito delle masse, del cambiamento, e dei progressisti” di questo paese.

Tra gli eletti del Partito Democratico il 90% non ha mai preso una preferenza, non ha mai fatto una campagna elettorale, il 30% degli eletti non è nemmeno residente nel collegio elettorale in cui è stato eletto. E la cosa ancor più grave è che quel 90% non saprebbe nemmeno farla più una campagna elettorale, ha perso l’abitudine, o non ha mai imparato, a fare un comizio ed ha preferito imparare a parlare nelle telecamere.
Tutto coerente con la “nuova politica” sempre che tu non si un parlamentare del partito democratico, di un partito che ambisce ad essere di massa, e a rappresentare il consenso popolare e a fare del dialogo con le persone la sua bandiera.

Ecco, la ragione per cui assistiamo a questo scontro interno continuo, che appare alle volte finanche immotivato, è proprio il virus interno del corpo della dirigenza del Partito Democratico, questa divisione in componenti legate alle persone più che ai programmi ed alle idee, questa incapacità di rinunciare all’occasione per “contarsi” più che per contare e far contare.
Sino a quando per essere candidati, eletti, rieletti, si dipenderà da logiche percentuali delle rispettive componenti, la logica del più grande partito italiano sarà una dinamica di divisione, di killeraggio del leader, del distinguo di opportunità, dello sgambetto interno per conquistare una minima posizione.

In questa sintassi è semplicemente impossibile anche solo immaginare che trionfi una visione ed una forza comune, che ad esempio avrebbe ricondotto a quella necessità storica di senso di responsabilità che con pochissimo sforzo avrebbe dato già da un mese un governo al Paese e alla prima votazione un Presidente della Repubblica unitario e condiviso.
Tutto senza trasformare la vita politica delle istituzioni in un’arena in cui mostrare giochi di forza e competizione interna per contare di più – che si è poi tradotta nel contare tutti quanti molto meno.

Per tornare quindi a Schumpeter, si, ogni distruzione può essere creativa.
Ma ciò che verrà dopo dipenderà da quanto si terrà conto delle ragioni che hanno condotto alla distruzione, a ché ciò che verrà creato sia più stabile, se non solido.
Perché se avrà gli stessi vizi, allora è solo un nuovo palazzo a tempo, in attesa della nuova della prossima occasione per auto demolirsi.

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