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Michele Di Salvo
15 Jul

F-35 Story

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  F35, pd, pdl, Francesco Boccia, Cristiana Alicata, difesa, Nato, Onu

F-35 Story

Ovvero, tutto quello che non sappiamo e pensiamo di sapere su questo cacciabombariere.

Di F35 parlano un po’ tutti, spesso trascinando una questione tecnica, di spesa, di opportunità, sul piano politico – altrettanto spesso con toni demagogici.
Mi sono chiesto quanti effettivamente sanno di che stiamo parlando, e leggendo un po’ in giro ho trovato un’enorme confusione e un po’ troppe cifre buttate a caso.
Per questo motivo ho pensato a questo post-sintesi, che raccoglie un po’ di fatti (concreti) su questo aereo e su questa vicenda – poi ciascuno si faccia la propria opinione, in tutti i sensi e in tutte le direzioni.
Vorrei fare alcune premesse, perché non credo che esistano persone oggettive al 100% e che non lascino trasparire la propria opinione soggettiva, e dato che questo post vorrebbe essere invece di nuda e cruda informazione, dico come la penso io, subito ed all’inizio.
L’Italia è una Repubblica che ripudia la Guerra come strumento di soluzione delle controversie… questo incipit non prevede “la pace cieca a tutti i costi”, ma dovrebbe prevedere – concretamente – che alla soluzione pacifica delle controversie (aiuti all’estero, educazione, cultura, mediazione, diplomazia, organismi di cooperazione, fondi di sostegno e formazione all’estero, scambi culturali ed economici… e chi più ne ha più ne metta) vengano destinate almeno risorse doppie rispetto alle spese militari. Almeno questa sarebbe una corretta attuazione dello spirito (e della forma e della sostanza) della Costituzione. E invece spendiamo poco in difesa (rispetto ad altri), appena l’1,2% del pil, ma non spendiamo il 2,4 negli strumenti appena citati, bensì, tutti assieme sommati, meno dello 0,3%.
Inoltre l’Italia è parte della NATO e un progetto come questo non rientra – come molti possono pensare – nella “libera decisione” del nostro Paese, bensì – cosa che quasi tutti ignorano – in un progetto del 1994 – con la fine della guerra fredda –di riordino, riassetto e coordinamento degli armamenti. La logica è tagliare i costi ottimizzando ruoli e funzioni. Tradotto, ciascun paese si specializza in una cosa, e si dota di un certo tipo di armamento, che funziona come pezzo di un unico puzzle bellico – che doveva essere di difesa, ma che è sempre più di “difesa preventiva”, ossia di attacco. Ed è per questo che mano a mano che gli equipaggiamenti diventano “obsoleti”, quelli che li vanno e andranno a sostituire devono rientrare in una stretta cerchia di prodotti che si “compensano e integrano” tra loro. Ed è anche per questo che sino a un certo punto conta quello che decide il Parlamento, essendo la funzione centrale spostata in seno al “Consiglio Supremo di Difesa” che partecipa di quanto avviene in sede Nato. Ci piaccia o no, ma non è possibile intervenire su un pezzo del puzzle militare strategico senza entrare nel merito dell’assetto complessivo della Nato, delle sue regole e del suo funzionamento.
Terza questione riguarda i costi, ma prima il fatto che parliamo di aerei, in particolare di caccia bombardieri strategici. E se questo dettaglio può apparire scontato ed assodato, vi assicuro che non lo è, visto che il presidente della commissione bilancio – che alla fine presiede la commissione che delibera i fondi e le spese – anche lui ignora di che parliamo e a che cosa davvero servono questi gingilli.

Prima di snocciolare dati e numeri e informazioni però vorrei aggiungere che è facile fare semplici equazioni su cosa compro con quegli stessi soldi.
Resta il nodo che abbiamo aerei vecchi, che non servono per gli scopi della difesa moderna né per assolvere alle nostre funzioni. E costa di più rimetterli a nuovo e mantenerli che cambiarli, e cambiarli sarà necessario. Quello semmai su cui con maggiore serietà dovremo riflettere – e chiedere alla politica di rispondere – non è quanti asili o ospedali fare, ma a che modello di difesa vogliamo concorrere. Se non sia ad esempio giunto il momento di eliminare la Nato, e metterla al servizio di una forza Europea unitaria, senza armi nucleari strategiche ad esempio,e con autonomia politica nostra. E se non sia il caso in questo scenario di mettere questa forza unitaria al servizio dell’ONU come strumento vero di interposizione e non di guerra preventiva ed altre amenità coniate all’occorrenza.
Ecco, queste le mie riflessioni, che contengono le mie “idee di parte”. Spero senza demagogismi più o meno facili, e senza la corsa alla ricerca del massimo consenso nazional-popolare.
Da ultimo, un chiarimento sulla questione delle penali.
Alcuni favorevoli hanno parlato di penali impressionanti e svantaggiose da pagare. Chi è contrario ha detto che comunque sono “penali accettabili e molto basse” in proporzione.
A onor del vero Nessuno ha ancora scovato, nei documenti di intesa tra Italia e Stati Uniti, penali esplicite per l’uscita dal programma, che si devono concretizzare esclusivamente nella perdita dell’investimento sin qui fatto – ovvero poco meno di 2 miliardi di euro..

Per capire meglio la vicenda nella sua interezza partiamo da alcuni pezzi delle schede de Il Post

Che cosa sono gli F-35 Il programma di sviluppo e costruzione degli F-35 ha il nome ufficiale di “Joint Strike Fighter (JSF)” e ha l’obiettivo di costruire un aereo da combattimento cosiddetto “di quinta generazione”. È svolto dagli Stati Uniti in collaborazione con Regno Unito, Italia, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia, Turchia, Singapore e Israele. I diversi paesi hanno diversi livelli di coinvolgimento nel progetto: il Regno Unito è l’unico di primo livello (partecipa a circa il 10 per cento delle spese di ricerca e sviluppo), mentre Italia e Olanda sono due partner di secondo livello (partecipazione intorno al 5 per cento). Il programma serve, nel caso dell’Italia, a sostituire tre modelli di aereo militare, e cioè i Tornado, gli AM-X e gli AV8B della Marina. Questi tre diversi aerei sono stati introdotti nelle forze armate italiane tra gli anni Ottanta e i primi anni 2000.
Chi ha deciso l’acquisto Il programma del JSF è iniziato nei primi anni Novanta e l’interessamento italiano ha attraversato governi di ogni colore. È iniziato intorno al 1998, quando il ministro della Difesa dell’allora governo Prodi era Beniamino Andreatta. I negoziati per l’inserimento dell’Italia nel programma sono iniziati nel 2001 e si sono conclusi tra giugno e luglio 2002, quando il ministro della Difesa del governo Berlusconi era Antonio Martino, con la firma di due documenti di accordo tra l’Italia e gli Stati Uniti. Al momento della firma del documento, l’Italia si impegnava a fornire i fondi per circa il 4 per cento dell’intera fase ricerca e sviluppo, che è iniziata nello stesso 2002 e non si è ancora conclusa. A febbraio 2012, il ministro Di Paola – che è stato capo di stato maggiore della difesa dal 2004 al 2008 – ha annunciato che l’Italia aveva ridotto le ordinazioni da 131 a 90 aerei, come contributo al processo di spending review del governo.
Quanti soldi costa La cifra precisa del costo degli aerei è rimasta per parecchio tempo incerta e ha oscillato tra i 13 e i 18 miliardi di euro totali. Sicuramente si tratta di un programma pluridecennale: quindi è importante capire anche come i soldi sono distribuiti nel corso degli anni. È diverso, naturalmente, se i 18 miliardi sono spalmati su trent’anni o su cinque, ma è anche diverso se i costi sono concentrati nel breve, nel medio o nel lungo periodo: se, cioè, gran parte dei soldi vanno spesi nei prossimi tre anni e la “manutenzione” costerà qualche milione di euro nei prossimi venti. Un recente rapporto del Ministero della Difesa permette di indicare qualche dato ufficiale. A pagina 6 dell’allegato C della Nota Aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per l’anno 2012, che è stata presentata al Parlamento dal Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola nell’aprile dello scorso anno, sono esposti nel dettaglio (anche se un po’ nascosti) tutti i costi previsti per il programma dell’F-35. Alla voce “Sviluppo velivolo Joint Strike Fighter”, che è di gran lunga la voce principale nel settore investimenti dell’aeronautica, si mette a bilancio una spesa di 548,7 milioni di euro per il 2012. Nelle note si aggiunge la ripartizione delle spese previste complessivamente per il programma, compresi quindi i soldi già spesi a partire dal 2002 (quasi tutti nel settore della ricerca e sviluppo). Alcune sono stranamente calcolate in dollari, altre sono spalmate su parecchi anni, altre ancora non sono ancora definite:
- per la fase di sviluppo, circa 1.028 milioni di dollari, con completamento previsto nel 2012;
- per la fase di sostegno alla produzione, circa 900 milioni di dollari, con completamento previsto nel 2047;
- per le attività di predisposizione in ambito nazionale, “oneri in fase di definizione”;
- per assemblaggio finale, manutenzione, revisione, riparazione e aggiornamento, circa 795,6 milioni di euro, con completamento nel 2014;
- per “l’avvio dell’acquisizione e supporto logistico”, circa 10 miliardi di euro entro il 2026.
Quindi, tirando le somme e facendo le equivalenze: secondo il ministero della Difesa il programma JSF prevede al momento spese per 12,2 miliardi di euro entro la scadenza massima del 2047, tra 34 anni, più una cifra per “predisposizione in ambito nazionale” che non è definita. Tralasciando quest’ultima cifra, farebbero circa 360 milioni di euro l’anno.
Ma queste spese sono distribuite in modo diseguale: per il 2012 si mettono in conto 512 milioni e questa cifra annuale probabilmente non diminuirà di molto nel prossimo futuro, dato che entro il 2014 sono già messe in conto, complessivamente, spese per quasi due miliardi. C’è poi la voce dell’”avvio dell’acquisizione e supporto logistico”, la più ingente, che è quella che entrerà in gioco quando gli aerei, in concreto, arriveranno. Anche se è spalmata su 24 anni senza ulteriore indicazione di altri scaglionamenti interni, si tratta in media di oltre 400 milioni di euro l’anno.
Bisogna comunque farsi un’idea delle proporzioni: il bilancio della Difesa per il 2012 è stato di 19,9 miliardi di euro, pari all’1,2 per cento del PIL (la media europea più aggiornata, del 2010, è dell’1,61 per cento del PIL: quell’anno l’Italia spendeva l’1,4 per cento). Di questi, la spesa totale per esercito, marina e aviazione è di 13,6 miliardi, mentre il resto del bilancio va ai Carabinieri. Tre quarti del totale delle spese viene speso per il pagamento degli stipendi, come indicato a pagina 19 del rapporto.
Dove vanno quei soldi Quello degli F-35 è sicuramente un programma militare molto costoso che ha qualche ritorno per l’economia italiana, anche se sono ritorni difficili da quantificare e difficilmente dell’ordine di grandezza delle spese da sostenere. Nel 2001 la realizzazione dell’aereo è stata data a un gruppo industriale guidato dalla statunitense Lockheed Martin e di cui fanno parte ai primi posti Northrop Grumman (americana), BAE Systems (britannica) e, per i motori, le statunitensi Pratt & Whitney, General Electric e Rolls Royce (quest’ultima britannica). Il gruppo italiano Finmeccanica – che per il 30 per cento è di proprietà del ministero dell’Economia – partecipa alla costruzione degli aerei attraverso tre aziende principali: Alenia, SELEX Galileo e SELEX Communications. Anche Avio, un’altra azienda aerospaziale italiana in cui Finmeccanica ha una partecipazione, è coinvolta nel progetto. Alenia partecipa già da tempo ad alcune fasi di progettazione del JSF, insieme alla Lockheed Martin, nella sede di Pomigliano d’Arco. Partecipa soprattutto alla costruzione di alcune componenti finali delle ali dell’aereo (per ora in due stabilimenti a Foggia e a Nola). Lavora poi nella base dell’aeronautica militare di Cameri, in provincia di Novara, dove è stata costruita l’unica linea di assemblaggio finale, manutenzione, supporto logistico e aggiornamento degli aerei al di fuori degli Stati Uniti. SELEX Galileo partecipa alla costruzione del sistema di puntamento. Altri dettagli sono disponibili in questa scheda del 2010 sul sito di Finmeccanica.

Un articolo della Stampa del 27 giugno mette invece in luce alcuni “problemi e difetti tecnici”.

Il «Lightining» (cioè «lampo») F35 è figlio imprevisto di un altro caccia, l’F22 «Raptor». Quest’aereo, l’F22, è invisibile al radar (o almeno furtivo, secondo la traduzione letterale di «stealth»). Avrebbe dovuto essere prodotto in 750 esemplari, ma poi il costo unitario elevato e forse anche problemi tecnici (peraltro mai ammessi ufficialmente) ne hanno ridotto gli ordinativi ad appena 183. Gli americani hanno deciso di riservare l’F22 al ruolo di caccia puro (intercettazione e combattimento aereo) e di affiancargli un aereo più semplice ed economico per le mansioni di cacciabombardiere, cioè l’attacco al suolo o in mare e l’appoggio tattico alle truppe a terra. Questo figlio (inizialmente non pianificato) dell’F22 è l’F35. L’F35 ha tradito molte promesse. Costa meno dell’F22 ma molto più del previsto, addirittura l’80% in più; in particolare i 90 F35 italiani costerebbero 155,5 milioni al pezzo. I problemi sono anche tecnici. L’F35 fruendo della tecnologia già sviluppata per l’F22 avrebbe dovuto crescere in fretta e invece ha avuto un sacco di problemi. Innanzitutto, ed è una beffa per un aereo che si chiama «Lightning», l’F35 è risultato vulnerabile ai fulmini. Poi nel marzo scorso un rapporto del Pentagono ha denunciato che sull’F35 il display nel casco di volo non fornisce un orizzonte artificiale analogo a quello reale, a volte l’immagine è troppo scura o scompare, e il radar in alcuni voli di collaudo si è mostrato incapace di avvistare e inquadrare bersagli, o addirittura si è spento. La quasi tragica considerazione finale del Pentagono è che in un duello aereo l’F35 verrebbe abbattuto dai vecchi caccia americani F15, F16 e F18 (evoluzioni di modelli che volano da 30 o 40 anni), dal pan-europeo Typhoon e dal Sukhoi 30 russo e dal J-10 cinese. La Lockheed assicura che questi problemi saranno risolti. Comunque l’F35 è (di base) un monomotore più lento e meno potente di molti potenziali oppositori vecchi e nuovi, per la maggior parte bimotori; può superare l’handicap con la tecnologia superiore, ma non se questa tradisce le aspettative.

E nello articolo viene posto un interessante quesito:

Ammettiamo per ipotesi che i problemi siano insolubili: che deve fare l’Italia, uscire dal programma? È una scelta possibile ma gravida di conseguenze. I 90 futuri F35 andranno a sostituire ben 253 vecchi aerei fra Tornado e Amx (cacciabombardieri dell’Aeronautica) e Harrier (caccia a decollo verticale delle portaerei italiane). Se non compriamo gli F35 restiamo con le forze aeree monche? Molti rispondono: sì, e ce ne faremo una ragione. Ma sul piano tecnico si potrebbe anche trovare un’alternativa. Il Typhoon pan-europeo è stato adattato dai britannici al ruolo di cacciabombardiere. Non sarebbe un ripiego: in un recente test di combattimento simulato in Alaska, il Typhoon ha sconfitto l’F22. Ma in ogni caso il Typhoon non può sostituire l’Harrier a decollo verticale. E Pietro Batacchi, analista militare e direttore di Rid - Rivista italiana difesa, ammonisce: «Su 30 anni il programma F35 si ripaga da sé. L’Italia ha ottenuto compensazioni industriali, la fabbrica di Cameri costruirà gli F35 non solo italiani e sarà il polo della manutenzione di tutti gli F35 europei e di quelli americani in Europa. Ci sono contratti per l’Alenia e per molte altre imprese italiane. Ma i nostri acquisti di F35 sono già scesi da 131 a 90 e se li tagliamo ancora tutto questo sarà a rischio».

Una scheda de L’Espresso sintetizza alcuni ulteriori quesiti sul “gioiellino”

Che problemi sono emersi?
Contrariamente ai velivoli del passato, non ci sono stati prototipi su cui perfezionare la progettazione. Per ridurre tempi e costi, il velivolo è stato testato virtualmente con elaboratori elettronici. Ma i problemi non sono mancati e il programma ha accumulato ritardi importanti. Il software per le versioni operative, da cui dipendono tutte le attività, è ancora in fase di sviluppo: non sarà pronto prima di due anni. Forti difficoltà anche nella progettazione del casco, uno dei punti chiave del sistema F-35, che permetterà di visualizzare i dati di volo e puntare l'armamento tramite gli occhi del pilota.
Quanto costerà tenerli in servizio?
Le stime per la vita operativa, ossia il prezzo di ricambi, manutenzioni e aggiornamenti tecnici, dell'intera flotta di F-35 statunitensi per i prossimi 50 anni sono di 1510 miliardi di dollari, pari a 618 milioni per ogni aereo. Altri paesi come la Norvegia credono invece che per ogni singolo velivolo si spenderanno 769 milioni di dollari. La Marina americana reputa questi costi superiori di 442 miliardi rispetto alle previsioni. Il Pentagono ha minacciato che se queste stime non verranno ridotte toglierà alla Lockheed il controllo delle forniture di ricambi.
Perchè l'Italia ha scelto l'F-35?
La decisione è stata stata sostenuta soprattutto dai militari, con il sostegno di un partito trasversale nel centrodestra e nel centrosinistra. Per la Marina è una scelta obbligata: è il solo aereo a decollo verticale sul mercato e quindi l'unico che può operare dalle nostre piccole portaerei Garibaldi e Cavour. L'Aeronautica ritiene che si tratti del migliore velivolo disponibile per le missioni d'attacco.
Quanti ne comprerà l'Italia?
Nel 2009 il governo aveva deciso l'acquisto di 131 F-35 con un costo stimato di 12,9 miliardi di euro. L'anno scorso sono stati ridotti a 90: 60 nella versione A e 30 nella versione B a decollo verticale (15 per l'Aeronautica e 15 per la Marina). L'assemblaggio del primo comincerà a luglio: l'ingresso in servizio è previsto per il 2015 nel 32mo stormo di Amendola (Foggia). L'ultimo dovrebbe arrivare nel 2027.
L'Italia può uscire dal programma?
Il nostro paese non è formalmente vincolato ad altri acquisti. Uscire dal programma significherebbe perdere i fondi investiti nello sviluppo e soprattutto quelli spesi per costruire l'impianto di assemblaggio italiano: una cifra globale vicina ai due miliardi di euro. Resterebbe il problema di trovare un rimpiazzo per la flotta di cacciabombardieri, usati dal 1991 nelle operazioni internazionali in Iraq, Bosnia, Kosovo, Libia ed Afghanistan.
Quanto lavoro creerà in Italia?
Le forze armate ritengono che si potranno creare 10 mila posti di lavoro e ci sarà una ricaduta per le aziende italiane pari a 18,6 miliardi di dollari. Queste stime si basano però su una produzione a Cameri di 250 velivoli e sulla prospettiva che altri acquirenti dell'F-35, ad esempio la Turchia e Israele, affidino allo stabilimento piemontese la manutenzione dei loro caccia. Al momento non ci sono accordi firmati. Lockheed invece ha prospettato una ricaduta per l'Italia pari a 9 miliardi di dollari, senza calcolare l'attività di supporto e manutenzione, più altri quattro miliardi di dollari da assegnare.

E sempre L’Espresso in un altro articolo ne approfondisce alcuni problemi

E' invisibile ai radar, ma la sua anima tecnologica ha ereditato una paura atavica: quella dei fulmini. Il supercaccia F35, l'aereo più costoso mai progettato, risulta infatti vulnerabile alle scariche di elettricità: un problema con cui tutti i velivoli devono fare i conti ma che finora i progettisti del jet non sono riusciti a risolvere. La scoperta è paradossale: il nome assegnato all'F35 è proprio Lighting ossia fulmine. Così il Pentagono ha deciso di vietare i voli in prossimità di nuvole che promettono tempesta: i prototipi devono tenersi ad almeno trenta chilometri di distanza dalle nuvole cariche di elettricità. Un divieto che resterà in vigore fino a quando non saranno risolti i problemi al sofisticato sistema che gestisce i serbatoi di carburante, mescolando ossigeno al propulsore in modo da neutralizzare l'effetto dei fulmini. Una bella grana per un mezzo che costerà oltre cento milioni di euro ad esemplare: l'Italia conta di acquistarne 90, contro i 131 previsti inizialmente, per un costo superiore ai dodici miliardi di euro. Ma questa non è l'unica sorpresa che emerge dal documento ufficiale del Pentagono che fa il punto sulla sperimentazione dei prototipi. Il dossier dell'Operational Test and Evaluation Office - divulgato dal settimanale 'Time' - mostra altri problemi, nati dal tentativo di alleggerire il supercaccia. I progettisti della Lockheed hanno rimosso due apparati - il sistema antincendio del vano bombe e una valvola di sicurezza - con il risultato di rendere l'aereo poco idoneo al combattimento. Secondo gli esperti del Pentagono, l'F35 sarebbe molto più fragile dei caccia che deve sostituire: un solo proiettile a segno potrebbe fare esplodere l'aereo. In pratica, per risparmiare cinque chili di peso sarebbe «stata aumentata la vulnerabilità dell'aereo del 25 per cento». I test condotti dal Pentagono hanno anche evidenziato una serie di 'cricche' - microscopiche fessure nel metallo - nelle ali e nel motore. Tutti fattori che adesso richiederanno interventi correttivi e probabilmente un aumento di peso, con relativa riduzione delle prestazioni. Ma i tecnici della Lockheed si mostrano convinti di potere risolvere questi problemi: «Siamo certi di potere fornire un mezzo che risponda a tutti i requisiti nei tempi stabiliti». Nel frattempo, altri paesi mostrano scetticismo verso il programma. Dopo il Canada, che ha riaperto la gara per adottare il nuovo caccia, la scorsa settimana anche la Turchia ha sospeso l'acquisto dei primi due esemplari. Il governo di Ankara aveva deciso di comprarne cento, ma ha preso una pausa di riflessione «alla luce dei problemi tecnici e del crescente aumento dei costi». Leon Panetta, il ministro della Difesa americano, nei prossimi giorni sarà nelle capitali europee per cercare di promuovere il sostegno all'F35: verrà anche a Roma, terzo partner del progetto.

Problemi messi in evidenza anche dal Sole24Ore in un articolo del 10 maggio

Dopo le polemiche sui costi, i problemi alla turbina che bloccarono per alcuni giorni i voli e le forti limitazioni tecniche denunciate dal Pentagono che in febbraio misero in discussione l'addestramento dei piloti, è ora un rapporto del National Audit Office britannico (l'organismo del Parlamento che fa le pulci alla spesa pubblica) a mettere in luce i problemi del velivolo il cui programma, il più costoso della storia, prevede circa 3mila esemplari per una dozzina di Paesi. Il rapporto del NAO, che esamina i costi del programma per le due nuove portaerei destinate alla Royal Navy, evidenzia che gli F-35B a decollo corto e atterraggio verticale hanno mostrato problemi e serie limitazioni. Secondo il NAO, citato dal Guardian, i JSF non sarebbero in grado di atterrare «senza dover disfarsi dei carichi pesanti» (bombe, missile e serbatoi supplementari di carburante) in presenza di particolari condizioni climatiche, cioè «con una temperatura calda, umida e caratterizzata da bassa pressione». Come è facile intuire si tratta di condizioni piuttosto frequenti sulle portaerei destinate a operare in tutti i mari del mondo e del resto questa limitazione si unisce a quella già sottolineata dal Pentagono che vieta a tutti gli F-35 di volare ameno di 40 chilometri dai temporali per il rischio che i fulmini possano provocare l'incendio del carburante nel serbatoio del velivolo. Come le forze armate statunitensi e Lockheed Martin, che hanno contestato le critiche, anche il ministero della Difesa britannico insiste sul fatto che tutti i problemi saranno superati prima dell'effettivo ingresso in servizio. Londra ha ridotto da 138 a 48 il numero di F-35 previsti ma ha annunciato che una precisa definizione del quantitativo finale di aerei ordinati non verrà effettuata prima del 2015. «Ad oggi la flotta degli F-35B ha condotto oltre 400 atterraggi verticali effettuati in tutte le condizioni climatiche», ha risposto in serata Lockheed Martin alle valutazioni del NAO. «In aggiunta, nell'ottobre 2011, il velivolo ha effettuato un periodo di due settimane in mare a bordo della portaelicotteri USS Wasp registrando ottimi risultati. Oggi, l'F-35B garantisce prestazioni assolutamente conformi ai parametri di performance richiesti dagli atterraggi verticali. Le performance dell'aereo vengono infine sottoposte a continua validazione da parte delle forze armate USA e dai partner internazionali nell'ambito della fase di sviluppo del programma che si concluderà nel 2017». I problemi tecnici sono fisiologici, specie in un programma ad altissima tecnologia, ma quelli riscontrati sui primi F-35 sono legati alla procedura, mai effettuata prima d'ora, di consegnare ai reparti un velivolo che non è stato ancora messo a punto e che non è di fatto operativo. Questo comporta forti limitazioni nelle prestazioni e negli assetti di volo (ben 19 quelle evidenziate nel rapporto inviato il 15 febbraio al Congresso e alle forze armate da Michael Gilmore, responsabile dell'Operational Test and Evaluation del Pentagono) e quindi nell'addestramento dei piloti che dovrà essere successivamente aggiornato, progressivamente con la messa punto degli F-35.

E Investire Oggi focalizza l’attenzione sui costi di manutenzione

L’F35 sembra essere un fallimento su tutto il fronte. La RAND Corporation, società di analisi strategiche che collabora col Dipartimento della Difesa USA, ha apertamente criticato l’F-35, che, secondo le proprie simulazioni non sarebbe in grado di competere con il cacciabombardiere russo Su-35 in un combattimento aereo, non essendo veloce nel virare, salire di quota e accelerare. Vien da chiedersi “ma cosa sa fare allora?”. Critiche simili da Pierre Sprey, il progettista dell’F-16, per il quale l’F35 è pesante e poco reattivo. Ancora più pesante ci è andato il maggiore Richard Koch dell’United States Air Force (USAF), a capo dell’ufficio di superiorità aerea del “USAF Air Combat Command”, che ha dichiarato di “svegliarsi la notte con i sudori freddi al pensiero che l’F-35 avrà solo due armi per la superiorità aerea”. Altre critiche sono state sulla scarsa autonomia di volo, e soprattutto sui costi del progetto. Quella che doveva essere una idea geniale, ovvero creare un unico aereo per 3 ruoli operativi, si è rivelata una vera catastrofe economica, tanto che la stessa Marina americana ha stimato che i costi di manutenzione degli F35 saranno del 30-40% superiori a quelli dei caccia attualmente in uso. L’Italia viene colpita da questo ultimo dato: la manutenzione degli F35 che intende comprare sarà infatti più costosa, e nulla ci garantisce che tali costi non siano ancora superiori.

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Credo che in maniera anche eccessivamente logorroica ci sia materiale abbastanza “bipartisan” per farsi un’idea. E spero risulti utile al di là delle ideologie e delle demagogie.
Però vi allego anche delle belle schede, giusto per completezza.

F-35 Story
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E
Un cacciabombardiere a scopo di difesa! Significa bombardare per difendersi, e certo non casa propria. Perchè chi bombarderebbe le proprie abitazioni per difendersi da attacchi esterni. Allora forse andiamo a pacificare qualche terra esterna, bombardandola e facendo un deserto chiamato pace? O forse attacchiamo qualche nemico (CHI?) uccidendone le famiglie, perchè bombardare i civili significa non dire mai.... mi dispiace? Da qualsiasi parte si scagli la bomba, io non vedo decenza. Anche se difendersi si deve, ma non certo con armi che sono tutto, ma non difensive. E credo che di questi tempi sia ora di rendere merito a chi la nostra costituzione l'ha scritta, e dice all'articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di soluzione dei conflitti....". Ermes
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P
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di soluzione dei conflitti...." è una bellissima frase di effetto ma la verità che nessuno vuole accettare è che l'uomo si fa la guerra da quando è arrivato sulla terra e sempre la farà: anzi proprio di questi tempi assistiamo ad un proliferare spaventoso di focolai di guerra soprattutto vicino a noi. Aggiungiamo uno scenario di crisi economica perdurante sul fronte occidentale che espone tutta la nostra debolezza a nuove realtà economiche che mostrano evidente rivalità e odio per la nostra cultura, ed ecco che la possibilità di nuove guerre in Europa non è mai stata cosi concreta come in questi tempi. Non dico che la soluzione siano gli F35 ma la debolezza dell'occidente è cosi evidente che abbassare la guardia anche sul piano della difesa, dopo che sempre più paesi in ascesa repentina ci stanno praticamente umiliando ovunque, non credo sia molto salutare.