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Michele Di Salvo
22 Jun

È Possibile alla sinistra di Renzi

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Civati, pd, Possibile, Renzi, Rnezi, sinistra

vera-possibileLa scommessa di Civati non è facile, ma è tutt'altro che quella "banale consueta" ricerca di somma di micropartitini a sinistra del pd, che gli analisti hanno ragione a dire che non supererebbero il 4% raggiunto dalla versione italiana della lista Tsipras alle europee. Nell'epoca della comunicazione "totale" e di una politica fatta di leadership individuali, certamente la proposta di Giuseppe Civati va articolata e resa chiara e inequivocabile sin da subito: avanti con chi ci sta, ma con un nome e con una piattaforma chiari, capaci di raggiungere tre obiettivi. Il primo mettere insieme la struttura di tutte quelle associazioni e movimenti sindacali e piccoli partitini che non hanno alcuna chance di presentarsi da soli, il secondo, quello di eliminare la conflittualità tipica della frammentazione "a sinistra" che diventa incomprensibile e spesso masochista, il terzo, offrire una leadership unica capace di confrontarsi con altre leadership uniche (come Renzi e Salvini). Se riuscire in questi tre obiettivi per qualcuno è impresa titanica, dall'altro segna l'esatta differenza che - a destra - ha portato a due risultati contrapposti: il partito della Meloni a dimezzarsi nelle aspettative e - centrando invece l'obiettivo - la Lega di Salvini passata dal 4 al 16%. Perché la sfida dell'offerta nel mercato politico è esattamente questa: avere una leadership capace di comunicare in maniera efficace e sostanziale offre crescite esponenziali, ripetere errori alla Tsipras italica è suicidio politico, perché si perdono identità senza averne in cambio una nuova e più forte. L'appeal politico c'è, e non va tanto ricercato solo a sinistra del pd, quanto dentro il suo stesso elettorato (che è cosa ben diversa dagli eletti). Non è un caso che senza l'appoggio di quasi nessuno la proposta di Civati abbia raccolto circa il 10% del popolo democratico (contro il 38 di Cuperlo e il 43 di Renzi). Non è un caso se Civati abbia - e questo lo dimenticano in molti - raccolto circa mezzo milione di voti alle primarie aperte. E non è un caso che la sua struttura, unica organizzata autonomamente nel web, e che raccoglie oltre 50mila persone, abbia portato ben 5 neo-eletti in Europa nelle stesse liste del Pd. Questi numeri contano e pesano, e sono ben più rilevanti di fare la conta di quanti parlamentari oggi o domani possa perdere il gruppo pd in parlamento o quanto questo incida sula maggioranza di governo. Perché anche questo è un punto di forza di Civati, ed un interesse (sembra paradossale) convergente con Renzi: che si vada avanti, prendere tutto il tempo necessario prima del confronto elettorale: il pd ai massimi storici può solo scendere, mentre questo nuovo soggetto può solo crescere. Il grande bacino cui attingere è eterogeneo, e l'unica formula vincente per compattarlo è una proposta politica unitaria; si va dalla minoranza pd ai tantissimi delusi dalla politica, all'astensionismo a sinistra, a quella fetta importante di elettori di sinistra che votano cinquestelle. Un bacino che complessivamente supera il 15% di potenziale elettorato. La Liguria insegna che una sinistra disunita perde anche con un improbabile Toti. E il caso di Venezia riporta alla mente quella Bologna persa contro Guazzaloca, perché non si vince per diritto divino, soprattutto se dall'altra parte la proposta (personale e politica) è rappresentata da persone perbene e credibili. La prospettiva infatti è quell'Italicum in cui si arriverà certamente ai ballottaggi, ed in cui se il Pd vorrà andare da solo potrà solo rischiare... esattamente come negli ultimi ballottaggi alle amministrative: perché se è vero che non si possono paragonare elezioni politiche nazionali con quelle locali, è altrettanto vero che la logica dei collegi somiglia più alle seconde che non alle prime. Specialmente quando ci sono preferenze da esprimere, ed anche più a seconda del modo con cui verranno scelte le candidature. Se il pd imporrà le candidature senza primarie si suiciderà, esattamente come se nella metà dei colleggi non farà accordi evitando uno scontro fratricida con il mondo intero alla sua sinistra. E qui entra in gioco la non elaborazione completa di quell'idea Veltroniana di "partito unico",  in una realtà in cui la proposta renziana del "partito unico della nazione" si contra con la realpolitik e parziale inesperienza della sua classe dirigente: un partito "unico" e grande deve anche essere capace di contenere ed essere comprensivo. La presunzione del "non ci interessa, tanto se esci dal pd fuori non c'è nulla" non paga. Perché se questo può essere vero in un dato momento, la politica non è mai statica, ed è proprio questo atteggiamento che può portare - come sta accadendo - alla creazione possibile di "quello che fuori non c'era". Un po' come se fosse la stessa politica renziana a generare il suo stesso antagonista a sinistra e dargli credito e credibilità. A che tutto questo si trasformi da idea ad azione è certamente un lavoro lungo, ma il tempo gioca a favore della neo-creatura, che almeno sulla carta si presenta aperta, unificante e convergente. Quanto ai parlamentari, è la stessa parabola renziana che mostra lo scenario, basta ripensare a quanti ufficialmente e dichiaratamente bersaniani , otto mesi dopo sono diventati "renziani della prima ora". E questa volta la sfida a Renzi va benoltre un "secondo tempo del congresso", e parta da qualcuno che il Pd lo conosce bene, ne conosce le dinamiche, la storia e le persone, e riguarda chi, la prima Leopolda e l'ha fatta prima di Renzi, quando ancora si chiamava "Prossima fermata Italia". Se quindi l'entourage e lo staff della comunicazione del premier-segretario fa bene comunicativamente a ridimensionare il fenomeno, politicamente le preoccupazioni dovrebbero essere ben maggiori di quello sbandierato non preoccupante 4%. E se non ne hanno percezione concreta, parafrasando Houston, "palazzo Chigi ha un problema".

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