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Michele Di Salvo
07 Jul

Renzi e la politica al tempo del digitale

Pubblicato da Michele Di Salvo  - Tags:  Renzi, PD, digitale, web, politica, comunicazione, comunicazione politica

Renzi e la politica al tempo del digitale

Una delle frasi che meno si ricordano di Matteo Renzi è che "un leader si vede dalla capacità di creare altri leader". Era la Convenzione Nazionale del PD del 24 novembre 2013. Sono passati sette mesi. Politicamente un'era geologica. E spesso invece dei leader ricordiamo uno slogan, una frase, un discorso, e difficilmente potremmo descrivere cosa concretamente quel leader abbia realizzato.
Questo vale per i leader politici della "comunicazione analogica", la cui politica era rappresentata prevalentemente da eventi mediatici che ne cadenzavano cronologicamente anche l'azione di governo. L'era della comunicazione digitale ha rimodulato anche questa sintassi della comunicazione politica.
Immagini, ma anche idee, frasi, azioni, non hanno più "un singolo momento dato", semmai solenne, a reti unificate, ma diventano "liquidi", e, decontestualizzati e privati quasi della propria data calendarizzata, diventano ciclici e imminenti. Questa "dinamica della comunicazione" finisce con il ridefinire anche chi sia un leader, o meglio chi sia leader nell'era digitale.
È un "mestiere" e un ruolo differente, che va oltre il singolo momento e la data dello stesso.
Avviene così che la vera rivoluzione nel linguaggio politico di Matteo Renzi non stia più in uno slogan – seppure efficace e virale – come "Adesso!" o "#cambiaverso" ma consista nella capacità di trasformare e dettare il vocabolario rituale della scena politica.
La forza di Renzi sta nell'essere riuscito a imporre, sin dall'inizio, e sia in attacco che in difesa, un vero e proprio vocabolario al quale si sono adeguati alleati, amici, antagonisti ed avversari. Dal generico "staisereno" al "tiziochi?" Matteo Renzi ha rubato la scena del web anche a chi sino a qualche mese prima l'aveva dominata, addirittura obbligando Grillo e Casaleggio ad adottare le stesse parole d'ordine trasformate in hashtag su twitter o parole tag su siti e socialnetwork.
Quella che è cambiata – è bene comprenderlo e chiarirlo – è la comunicazione come sistema, in cui tra televisione e giornali si è inserito "il tempo del web", rimodulando la struttura e i tempi della notizia, ed anche il mondo dei media come linguaggio, in cui sempre più spesso ciò che avviene e come avviene e viene raccontato in rete entra nei media tradizionali e fa notizia, ma in cui anche il web è cassa di risonanza e trasformazione della notizia del giornale e di tg e talk.
In questo tempo le ritualità cui eravamo abituati non resistono più perché non sono più idonee alla permeabilità del mezzo. E i nuovi leader possono essere definiti esattamente così: coloro che sono capaci di creare sintassi e linguaggi permeabili e permeanti. E la loro forza sta nell'obbligare i propri avversari ad adeguarsi a quelle sintassi e "citare" quegli slogan per essere riconoscibili.
Su questa base – che potremmo definire "di linguaggio" – si inserisce il concetto di autorevolezza politica, questo si immutato nel tempo, e tuttavia nuovo nella politica italiana, storicamente incline alla mediazione ed al multi-leaderismo della concertazione e parlamentarizzazione.

Renzi "detta l'agenda", nel senso più ampio dell'espressione: da un lato, come premier, lancia i temi e le proposte di governo, dall'altro come leader politico "obbliga" i players della scena politica ad adeguarsi al tema. In altre parole "per esistere" mediaticamente chiunque, dai leader degli altri partiti agli stessi democratici, devono adeguarsi all'agenda tematica, esprimersi e restare su quei temi, pena l'esclusione come "soggetti avulsi dal contesto".
Non è un caso che per sopravvivere a se stesso Berlusconi debba essere co-protagonista delle riforme scelte da Renzi, e non è un caso che per far parlare di sé ed avere una qualsiasi citazione nella narrazione politica lo stesso Grillo debba “piegarsi” a chiedere un incontro – sempre considerato improponibile – proprio al Partito democratico, per discutere del tema scelto dal segretario-premier.
Questa forse è la vera novità di importazione americana, dove l'agenda politica e legislativa è sostanzialmente dettata dalla Casa Bianca, il dibattito è orientato e incentrato sui provvedimenti proposti dall'esecutivo, il dibattito politico, giornalistico, parlamentare, lobbistico è su quei temi, sino a quando è lo stesso presidente a "chiudere i giochi" e misurarli concretamente nel voti in Congresso. Se ci riflettiamo, è esattamente ciò che sta avvenendo sulla legge elettorale, in cui Renzi non solo detta "il tema" ma in qualche modo anche "i tempi" dell'agenda politica.
Questo profondo, e per certi versi radicale, cambiamento della dialettica e della sintassi politica, implica tuttavia anche una necessariamente diversa concezione della responsabilità politica diretta del premier nelle scelte e nelle nomine. In senso molto più ambio e meno diluito del passato Renzi è responsabile politicamente dell'operato di chi sceglie.
Mentre prima c'era una sorta di alibi delle scelte condivise, dei vari cencelli della politica, della delega di responsabilità, oggi questo capitale – prima comunicativo e poi politico – è ineluttabilmente in capo al premier-leader, che senza mediazioni ed attenuanti è "il soggetto" della politica, che risponde in maniera diretta delle nomine e delle scelte degli uomini e dei programmi.
Se qualcosa non è adeguato alle aspettative, se non dovesse essere oltremodo trasparente, qualsiasi mancanza di rigore richiesto da questi tempi e dalla società del nostro tempo, è percettivamente responsabilità diretta e non mediata di Matteo Renzi, che del resto rivendica spesso non solo l'ampio consenso politico e capitale mediatico personale (confermato dal voto delle europee) ma anche come valore il suo decisionismo attivo in prima persona.

Non stupisce quindi che in questa fase di profonda trasformazione della politica e della comunicazione del nostro paese non vi siano quei bilanciamenti della dialettica parlamentare che "creano leader", come avviene ad esempio nella citata politica americana, dove se è vero che il capo indiscusso del partito coincide con il presidente, è pur vero che – ben lontani da ciò che avviene da noi – senza fratture considerevoli, esistono altre leadership che "non lasciano il capo da solo".
In questo momento nella politica italiana, e nel centro sinistra in particolare, complice anche la mancanza di altri autentici leader negli altri schieramenti, Renzi "è solo al comando".
Da un lato l'implosione degli altri micro-partiti della sinistra, dall'altro la polverizzazione delle altre componenti del partito democratico, lasciano spazio, al massimo, all'emersione di qualche singola personalità, più per propria sopravvivenza che come vera e propria alternativa o supporto alla leadership. Questo potrebbe essere il vero obiettivo politico di medio periodo di Renzi, mantenere quell'impegno del 24 novembre, diventare cioè quel "leader che crea nuovi leader", che va ben oltre il dare la chance di apparente emersione a qualche volto nuovo.

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